IL VIAGGIO DEI PASSI PERDUTI

Fiorenzo Senese


Ho iniziato a fotografare scarpe abbandonate in giro per il mondo anni fa.

Hanno un fascino speciale.

La loro posizione, che non modifico mai, a volte è sorprendente ma la cosa che mi colpisce di più è che molto spesso sono in buono, se non ottimo stato.

Tutto evoca domande sulla storia che le ha portate lì… e, per quanto le scarpe abbandonate non siano altro che scarti, rifiuti, e in quanto tali del tutto insignificanti, forse possono diventare decisamente più importanti se le consideriamo da un punto di vista filosofico.

“Il viaggio dei passi perduti” è una serie fotografica di calzature abbandonate che simboleggiano la crisi dell’agire umano.

La quantità delle immagini e la ripetizione del soggetto sono intenzionali, a rappresentare l’entità e il disturbo dell’elemento degenerativo.

Le foto sono state scattate in India, Marocco, Giappone, Olanda e Italia. Le scene non sono state alterate in alcun modo, sia durante lo scatto sia in postproduzione.

Il viaggio umano. Così è spesso definito e concettualizzato il lungo processo della nostra evoluzione (o involuzione).

E quale può essere l’oggetto più rappresentativo del viaggio umano, se non le scarpe?

Le scarpe sono uno dei principali elementi di distinzione dell’essere umano dalle altre specie; un esempio di evoluzione, frutto di capacità di osservazione, intelligenza e logica.

Ci accompagnano lungo il nostro viaggio, passo dopo passo… e ad ogni passo abbiamo la possibilità di cogliere nuovi spunti da ciò che ci circonda, utilizzarli per arricchire la nostra esperienza e agire poi coerentemente.

Sembra però che questa capacità sia in una fase critica. Compiamo azioni illogiche senza preoccuparci delle loro conseguenze catastrofiche e, anche quando tocchiamo con mano queste conseguenze, perseveriamo.

Gli ultimi decenni sono una parabola crescente di attività umane che minano il concetto di evoluzione, generano degrado, malessere sociale e mettono a rischio il nostro stesso futuro. Creiamo contesti nocivi per i quali poi ci disperiamo pubblicamente ma in maniera fine a se stessa, senza elaborare soluzioni stabili e durature.

Basti pensare all’aberrante fenomeno dei rifiuti, che cambia a tal punto la nostra percezione dell’ambiente che in molti luoghi le persone hanno iniziato a considerarli parte integrante del proprio habitat naturale, senza più immaginare di eliminarli;

al disinteresse per le mutazioni climatiche che sta favorendo il sorgere di seri problemi per i  nostri ecosistemi;

ai media che ci fanno concentrare su eventi drammatici o carichi di negatività e violenza, quasi assolutizzando questa parte di realtà;

alle provocazioni e reazioni spropositate che creano scontri che lasciamo crescere fino a farli degenerare in guerre infinite.

Questa situazione è il risultato di un susseguirsi di azioni legate alla tensione spasmodica per “avere” subito e a tutti i costi, all’incapacità di fermarci, osservare, ascoltare, imparare e valutare l’agire nel lungo termine, ma è anche frutto dell’incapacità di cambiare.

Fermarsi significa perdere un pezzo di “avere” e quindi “non si può fare”.

Sembra che durante il nostro viaggio abbiamo perso la capacità di imparare da ogni passo e coerentemente migliorare. Non è più un cammino costruito da una sequenza logica di passi, è piuttosto un mucchio confuso di singoli passi, dopo ognuno dei quali perdiamo la memoria e la visione dell’obiettivo.

Rischiamo di perdere il senso del nostro camminare e di annullare il livello di evoluzione raggiunto faticosamente attraverso millenni.

In altre parole, potremmo dire che stiamo gradualmente “abbandonando le nostre scarpe”, nonostante si trovino ancora in buono stato.

In questo modo le nostre capacità, le nostre “scarpe”, sono destinate a diventare nient’altro che spazzatura e alla fine scomparire, lasciando solo un’impronta sulla neve ghiacciata o un “trompe-l’œil” di se stesse stampato su un adesivo.

Il nostro viaggio rischia di diventare “Il viaggio dei passi perduti”, salvo che non prevalga quel barlume di buon senso, che in fondo sempre ci accompagna e sempre ci ha salvato, rappresentato nell’ultima immagine della serie.

Fiorenzo Senese

fiorenzo.senese@gmail.com

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